A cura di Lucia Muolo.
Il
cambiamento, il passaggio alla “maturità artistica”, la scoperta
di nuove sonorità: queste le componenti principali del nuovo
progetto firmato Camp
Lion.
Qualcuno di voi li conoscerà già per il loro primo album,
“La teoria di Romero”, con il quale la band
trentina
ha esordito nel 2010: edito da NML,
con brani cantati esclusivamente in italiano. Proprio questo 2010
segna l’inizio della promozione del disco, che porterà il trio
(Nicola
Perina,
Leonardo Menegoni
e Davide
Cavrioli)
in giro per il nord Italia fino ad arrivare all’estate del 2012,
quando si sentiranno pronti per una nuova esperienza in studio.
Pangea è un EP
completamente autoprodotto con l’aiuto dell’amico Sergio Condini,
che consta di cinque tracce attraverso le quali si segue una nuova
strada, più pragmatica e senza fronzoli, senza tener troppo conto
della pubblicità o dei contratti. Non
conosco l’ordine esatto in cui i titoli sono disposti sulla
tracklist, decido di avventurarmi in Iesus,
mai scelta fu più azzeccata: un’introduzione joyciana in musica,
un sipario che si apre e poi un’esplosione che trascina in perfetta
linea col testo, dal quale sono particolarmente colpita (“Devi
morire un po’, devi cadere un po’, devi marcire un po’, devi
soffrire un po’.”).
Questo
è un bel bigliettino da visita, al primo ascolto il brano mi piace
già e riesco a inquadrarne le scelte musicali, senza etichettarli né
paragonarli a nessuno e aspettandomi di tutto per il seguito.
Faustoeluniverso
e le atmosfere si fanno interessanti e rarefatte: è Maggio, c’è
già l’estate che sopraggiunge, ma questo brano mi riporta a freddi
pomeriggi invernali, a parole dette in silenzio, al nessuno che ti
ascolta all’infuori di te stesso. Mi ritrovo poi ad ascoltare Blue
Sky,
in cui sono presenti evidentissime marcature indie-rock
e delle lievi venature nella prima parte del brano che mi riportano
negli anni
'70.
Per la restante parte nulla che non sia in linea col genere. A
sparigliare le carte ecco Passeggero
Spettatore:
l’idea di fondo ricorda qualcosa di già sentito e ben accetto nel
panorama musicale italiano; shoegaze
mirato alla perfetta descrizione dell’uomo moderno, con una base
elettronica
che piace e non stanca. Chiudo con Pletora
ed ho la percezione che tutto voglia comunicare una realtà onirica:
suoni distorti, chitarre incalzanti e un riverbero voluto per
rafforzare l’intensità del brano.
Ho
ascoltato, per non scrivere di qualcosa che non conosco, dei passaggi
del “vecchio” album e l’esperimento voluto pare riuscito: il
cambiamento si sente, l’abbandono di affetti (musicali s’intende,
ovviamente) adolescenziali per strade che aprono alla sperimentazione
e alla novità.
Sicuramente delle buone intenzioni ai blocchi di partenza… seguiamoli nella corsa!
Sicuramente delle buone intenzioni ai blocchi di partenza… seguiamoli nella corsa!