venerdì 17 maggio 2013

PANGEA…e i Camp Lion cambiano rotta.


A cura di Lucia Muolo.
Il cambiamento, il passaggio alla “maturità artistica”, la scoperta di nuove sonorità: queste le componenti principali del nuovo progetto firmato Camp Lion. Qualcuno di voi li conoscerà già per il loro primo album, “La teoria di Romero”, con il quale la band trentina ha esordito nel 2010: edito da NML, con brani cantati esclusivamente in italiano. Proprio questo 2010 segna l’inizio della promozione del disco, che porterà il trio (Nicola Perina, Leonardo Menegoni e Davide Cavrioli) in giro per il nord Italia fino ad arrivare all’estate del 2012, quando si sentiranno pronti per una nuova esperienza in studio.

Pangea è un EP completamente autoprodotto con l’aiuto dell’amico Sergio Condini, che consta di cinque tracce attraverso le quali si segue una nuova strada, più pragmatica e senza fronzoli, senza tener troppo conto della pubblicità o dei contratti. Non conosco l’ordine esatto in cui i titoli sono disposti sulla tracklist, decido di avventurarmi in Iesus, mai scelta fu più azzeccata: un’introduzione joyciana in musica, un sipario che si apre e poi un’esplosione che trascina in perfetta linea col testo, dal quale sono particolarmente colpita (“Devi morire un po’, devi cadere un po’, devi marcire un po’, devi soffrire un po’.”). Questo è un bel bigliettino da visita, al primo ascolto il brano mi piace già e riesco a inquadrarne le scelte musicali, senza etichettarli né paragonarli a nessuno e aspettandomi di tutto per il seguito.


Faustoeluniverso e le atmosfere si fanno interessanti e rarefatte: è Maggio, c’è già l’estate che sopraggiunge, ma questo brano mi riporta a freddi pomeriggi invernali, a parole dette in silenzio, al nessuno che ti ascolta all’infuori di te stesso. Mi ritrovo poi ad ascoltare Blue Sky, in cui sono presenti evidentissime marcature indie-rock e delle lievi venature nella prima parte del brano che mi riportano negli anni '70. Per la restante parte nulla che non sia in linea col genere. A sparigliare le carte ecco Passeggero Spettatore: l’idea di fondo ricorda qualcosa di già sentito e ben accetto nel panorama musicale italiano; shoegaze mirato alla perfetta descrizione dell’uomo moderno, con una base elettronica che piace e non stanca. Chiudo con Pletora ed ho la percezione che tutto voglia comunicare una realtà onirica: suoni distorti, chitarre incalzanti e un riverbero voluto per rafforzare l’intensità del brano.

Ho ascoltato, per non scrivere di qualcosa che non conosco, dei passaggi del “vecchio” album e l’esperimento voluto pare riuscito: il cambiamento si sente, l’abbandono di affetti (musicali s’intende, ovviamente) adolescenziali per strade che aprono alla sperimentazione e alla novità.
Sicuramente delle buone intenzioni ai blocchi di partenza… seguiamoli nella corsa!






 





lunedì 8 aprile 2013

Aeons Cycle - " Dyschordia "


A cura di Manuel Polli

Djent, ovvero il suono prodotto dalle chitarre (7 o 8 corde) ultra distorte con accordatura downtuned suonate con la tecnica del palm-muting. Detta così sembra una spiegazione “copia-incolla” da Wikipedia ma in realtà, a parole, questo movimento musicale è tutto qui. A parole appunto, perché sotto l'apparentemente insignificante parola onomatopieca vi si trova un'intera generazione di musicisti tecnicamente molto dotati che si sono discostati dal death/trash più classico alla ricerca di suoni nuovi, sempre nel rispetto di una violenza d'esecuzione ineccepibile. E, una volta tanto, a coniare il termine non è stata una trovata di qualche label o rivista (kraut-rock o shoegazer, per fare 2 esempi immediati) bensì da Fredrik Thordendal, chitarrista dei “ Meshuggah “, gruppo svedese pioniere di tale movimento.

Gli “Aeons Cycle” portano una sana aria nuova ed incazzata nella loro terra, il Trentino, dove certe sonorità sono ancora semi sconosciute (il djent non è comunque sulla bocca di tutti da tante parti).
Formatosi nel 2011, il collettivo trentino è inizialmente formato da 5 membri, ognuno dei quale viene da precedenti esperienze più o meno metal: Filippo Tonini (batteria), Cristopher Merz (chitarra), i fratelli Giovanni e Lorenzo Malfer (entrambi chitarristi) e il più esperto Matteo Piccoli (cantante).

E' nel 2012 che vede la luce “Dyschordia”, primo EP della band, tre tracce che mixano una buona tecnica strumentale ed un groove violento, claustrofobico. Tre tracce, per una durata totale di poco inferiore ai quattordici minuti, ma di un impatto sonoro davvero disarmante, per un suono già maturo, che non lascia scampo. Otto secondi di un riff che sembra arrivare dagli inferi e poi si scatena l' inferno: “Voices told me to do that” apre il lavoro e fa capire subito ai nostri apparati uditivi cosa ci aspetta: ritmiche serrate (la batteria è una mitragliatrice), atmosfere cupe sulle quali le chitarre costruiscono tessiture furiose ma tutt'altro che confuse ed un cantato che passa senza problemi dal growl allo scream, non lasciando mai intravedere una qualsiasi forma di umanità.


Rite Of Transition” e la conclusiva “With Torches And Pitchforks To The Frankenstein's Castle” proseguono sulla stessa linea, non perdendo un colpo, con i brevissimi momenti simil-melodici affossati prontamente sotto muraglie di riff che definire granatici è sicuramente limitativo oltre che dal recitativo indemoniato della voce. A dar man forte alla sezione ritmica dal 2012 è arrivato il bassista Manny, che in tempo record registra il quarto singolo della band (“Fire- The Cleanser”) , uscito nel gennaio del 2013.

Gli “Aeons Cycle” si stanno attualmente dedicando alla stesura di altri tre pezzi, con l' intento di realizzare un cd completo. Per ora, se volete una serata di djent-core fatto bene, non vi resta che seguirli live, con buona pace per timpani ed affini.




mercoledì 13 marzo 2013

NarkaN - " 31:39 "


A cura di Andrea Galluzzi (Keep Chemical X Metalling)

Ecco, ci sono momenti come questi in cui penso: ”Chi dice che il rock è morto è un perfetto deficiente”. Con tutto il rispetto per il grande Sting, che per primo affermò questo falso concetto; ogni giorno band come Dream Theater, Limp Bizkit o Teatro Degli Orrori (ovviamente sarebbe opportuno proseguire ampiamente nell’elenco), piacciano o non piacciano, ci dimostrano che il margine di sperimentazione e innovazione del nostro amatissimo genere è tutt’ora vastissimo. Generi come progressive e crossover in questi anni sono quelli che stanno portando la croce di difendere tutto il mondo del rock da chiunque lo spacci ormai per morto. Secondo la mia modesta opinione bisognerebbe smettere di guardare con nostalgia ai grandissimi del passato e ricominciare a pedalare tutti insieme; per puntualizzare, io sono il primo che se non ascolta Stairway To Heaven almeno una volta al giorno sta male, ma questi pezzi dovrebbero stare al rock come la letteratura greca e romana è stata per gli autori inglesi dell’età Augustea (per non citare i sommi poeti della nostra Firenze trecentesca), cioè lo spunto che deve consentirci di andare un po’ più in là. Bernardo di Chartres nel XII secolo disse: ”Siamo nani sulle spalle di giganti”, il nostro passato è più grande di noi, ma noi abbiamo il compito di usare ciò che esso ci ha trasmesso per vedere oltre.

Dopo aver scomodato i letterati da quasi tremila anni a questa parte e aver dato a Sting del deficiente (se la recensione si dovesse interrompere improvvisamente sarà perché un fulmine si sarà abbattuto attraverso la finestra sulla seggiolina dove giaccio scompostamente) posso finalmente spiegarvi il motivo di tanto positivismo: i NarkaN sono una band che mi ha veramente trasmesso qualcosa di totalmente nuovo. Il Nu/Crossover Metal da loro denominato “Chemical X Metal” è davvero interessante e pieno di potenzialità: esso prende da sonorità che svariano dal Thrash al Nu andando così a creare un genere di rara aggressività e forza. La parte ritmica incalzante, alienante e decisa ricorda a larghi tratti i System Of A Down ed è proprio su questa che i NarkaN pongono le fondamenta per il loro genere; la chitarra (ovviamente distortissima) ha un suono graffiante tra Thrash by Sepultura e il Metalcore ed è usata per la maggior parte come ritmica più che come solista rendendo così il suono ancor più grave e pesante.



Le atmosfere nel loro 31:39 sono di grande violenza e intensità, molto cupe e molto secche, avvolgendo così l’ascoltatore che si ritrova attratto e, allo stesso tempo, quasi assorbito dall’andamento dei pezzi. É proprio per questa positivissima caratteristica che vorrei paragonarli ai precedentemente citati Teatro Degli Orrori, i quali, nel creare atmosfere assorbenti e alienanti nei loro pezzi, sono tra i migliori al mondo, e credo che sia proprio questo uno dei due massimi punti di forza di questi ragazzi. Parlando subito del secondo punto di forza passiamo alla parte vocale che determina, anche alle orecchie meno allenate o attente, lo stile dei NarkaN: infatti la band fonde, mettendo in contrasto, le due voci: la prima in Growl con arie quasi da Grindcore e Death, la seconda molto più melodica, ma senza cali di aggressività e tensione. Questa componente era già apparsa in alcuni pezzi degli Slipknot (vedi Wait and Bleed)o dei Bullet For My Valentine (vedi Waking The Demon), ma nella mia opinione ed esperienza mai era stata usata con un contrasto cosi marcato quanto azzeccato.

Parlando di 31:39 ritengo che sia un lavoro davvero ottimo e che ogni canzone sia ugualmente interessante, trascinante e potente, il che denota una certa continuità, non ha punti morti né punti deboli quindi tanti tantissimi complimenti ad una band che è già nella mia libreria di ITunes. Questi ragazzi hanno fatto un lavoro eccellente finora, adesso hanno attirato la mia attenzione, e credo quella di altre persone, è quindi arrivato il momento di tirare fuori dal cappello un pezzo che possa essere davvero di punta, un capolavoro; i NarkaN sono perfettamente in grado di farlo in tempi brevi e io nel frattempo mi ascolto con gli amici (che apprezzano) 31:39




mercoledì 20 febbraio 2013

Les Brucalifs - "Tearunner"



A cura di Angela Mingoni
Per capire cosa sia il Brit-rock (o, per essere più puntigliosi, la British Invasion, solo poi mutata in rock britannico) occorre partire un po' da lontano. Immaginiamo l’Inghilterra degli anni ’60 con le minigonne, il twist e i vinili; uniamo sonorità ”leggere” alla Beatles dei primi dischi e riusciamo, almeno in parte, ad avvicinarci e toccare quelle atmosfere. Sopravvissuto nel tempo e nello spazio, arriva quatto quatto fino a noi, anche grazie a Les Brucalifs che ne mantengono alta la bandiera con un Ep di cinque pezzi, chiamato “Tearunner”, che te li raccomando. Ma andiamo con ordine e partiamo subito con “Alibi”, iniziando con un sound più cupo ed intimo del previsto, dove la voce è calda e il suono dell’organino fa da sfondo ad un viaggio in macchina, tra le campagne verdi e le strade polverose, con il sole che ti scalda la pelle e ti da conforto nella tua fuga da qualcosa o da qualcuno che non ti piace più. La chitarra non lascia tregua, è sempre lì preponderante e conferisce grande forza al pezzo che si lascia ascoltare con molto piacere e ti fa muovere e tenere il tempo nel silenzio, magari, di una biblioteca. Dunque Brit rock. Gli Oasis ne sono stati un fulgido esempio negli anni ’90 ed in effetti sembra quasi di sentirli in “Tearunner”. Il mood è spudoratamente inglese ma non ne diventa mai caricatura. Non vogliono strafare questi ragazzi del Triveneto ma non si può tralasciare il fatto che siano ottimi musicisti. Ancora abbiamo la forza delle chitarre, ma adesso si aggiunge un irriverente pestare sui tamburi della batteria. La voce sta un po’ in disparte, è come un' eco lontano che si intrufola tra le maglie della musica. Questo schema un po’ si ripete in “Smash Or Fix”, tranne che per l’aggiunta di una linea di basso incredibile, piacevole e pulita e l’intromissione della chitarra acustica. Esse fanno da sfondo ad un modo di cantare più roco e ruvido, con quelle piccole sbavature che rendono un gruppo più credibile, visto che la perfezione non appartiene a nessuno. Il fatto è, e non deve essere presa come offesa, che ti viene proprio voglia di ballare su pezzi come questo e se balli vuol dire che ti diverti e se ti diverti allora un album è assai ben riuscito. C’è anche da aggiungere che i mitici Sixties non riguardavano solo l’Inghilterra. Chi non ricorda i Beach Boys non lo sa, ma il quintetto è noto per aver contribuito a formare lo stereotipo della California come terra di surf, sole perenne e mega parties sulla spiaggia; questa è di certo la giusta ambientazione per “Stop The Monos”. Quella simpatica nota di allegria che non guasta e anzi, ti fa dimenticare per un po’ dove ti trovi, ti fa uscire dal grigiore delle infinite e buie giornate invernali. Ed è ciò che un disco deve effettivamente fare; riuscire a trasportarti in una dimensione diversa, in un mondo lontano dal tuo per farti staccare la spina, per impedirti di pensare. La chicca finale, proprio perché è l’ultimo pezzo dell’EP, si intitola “SGT Liridon”. Qui esce completamente il vero spirito di una band che non ha paura nel proporre anche un pezzo acustico, che mostra la sua vera natura senza nascondersi negli studi di registrazione, perché se vivi al Nord, nelle zone più remote tipo Gorizia, Mestre e dintorni ti capiterà sicuro di sentirli dal vivo e almeno sai già cosa ti aspetta.
Giovani, freschi e decisamente bellocci, (che non guasta mai); ecco le caratteristiche che fanno di Les Brucalifs un gruppo un po’ scanzonato, a tratti leggero, e sempre piacevole, che sceglie l’inglese come portabandiera della propria musica per farla conoscere, forse, nel mondo.







Tutte le band di Trento e dintorni che volessero vedere pubblicate le loro recensioni e farsi promozione sul nostro music blog possono scriverci ed inviare il materiale necessario (audio,video,foto,bio,press kit e links vari) all'indirizzo antipop.project@gmail.com ed essere così inserite su Trento Indie Zone!!!

giovedì 15 novembre 2012

Da Guildford: the Crash Report pubblicano il nuovo singolo "Play"


The Crash Report sono una band di Guildford (UK) che trae molte delle proprie qualità dalla eterogeneità  e culturale e di genere dei propri componenti. Sinceramente ho sempre pensato che la diversità di origine di un genere all'interno di una band sia un  serio ostacolo x una buona empatia  artistica  di una gruppo: quasi inevitabilmente la maggiore raffinatezza e delicatezza di certe vedute care a certi stili o ambienti , si scontra con la visione più grezza e  con il machismo di chi è avvezzo a tutt'altro tipo di genere o sound più soft. Dunque... subito  dal primissimo ascolto i  Crash Report hanno bellamente fatto crollare questa mia convinzione: una  band dove tutto sembra funzionare  alla grande anche grazie all' energico cantato di  Leonora Babi (voce) che spazia su una base  suonata da musicisti che con mia grande sorpresa non sembrano avere subìto molto l'influenza dei soli 43 chilometri che li separano da Londra. I vari mood del disco  sono maggiormente orientati piuttosto verso  un pop-punk ( o pop-rock che dir si voglia)  dei fine anni novanta/ primi anni zero,,,, ma palesemente made in USA!!! (Quando ho saputa che i Strokes erano americani ahahh non ci volevo credere...non fatevi ingannare dal suffisso "the" !!!!!) ...ad ogni modo i  pezzi che vengono fuori da questa combinazione  hanno un'identità ben definita. Il risultato, fortemente caratterizzato da  il timbro sempre pulito ma deciso della singer , consiste in una tracklist di indole nord europeo (molto cara alle varie labels 19898/2002 per intenderci meglio,,,,). Mi vengono in mente anche nomi di tutto rispetto come Anouk o  penso ai  migliori Cranberries. Andando a fondo su questa band, purtroppo non credo fosse questa direzione pop/punk/rock  l'obiettivo primario dei Crash Report .Crdedo che la direzione verso cui la band punti sia uno stile più e sulla scia dei i Paramore..... La loro matrice punk( quella più infima, spregiudcata e senza regole intendo,,,,) trova spesso giustizia in svariati riff, tutti  ben sostenuti da un ottimo drumming ed come si può ben notare anche nel'ultimo singolo uscito "Play" sembra esserne la conferma di un certo impatto live ed emotivo dei The Crash Report. Un giudizio sicuramente positivo quindi per i Crash Report con il consiglio di andare a scavare verso una  ricerca compositiva più rude e meno controllata, cercando di portare tutta la strada che vivono dentro la loro Arte.